La storia che vi racconteremo non è piacevole e - siamo certi - i responsabili del fango proveranno vergogna per aver mortificato la loro professione di giornalisti sull’altare della sciatteria e della omessa verifica delle fonti. In corollario, proveranno vergogna per aver ceduto al luogo comune che identifica l’avvocato penalista come quel particolare professionista “complice” dell’assistito, coinvolto di riffa o di raffa nei fatti dei quali il presunto innocente è accusato.
La storia.
Qualche anno fa la vittima di lesioni personali “stradali” si rivolge a uno stimato avvocato per veder tutelati i propri interessi. La Società Assicuratrice accorda all'assistito dell'avvocato un risarcimento di 620.000 euro, somma che il difensore pretende venga bonificata su un conto corrente bancario intestato al sua assistito e che comprende - come sempre accade in questi casi - l’onorario del professionista (45.000 euro) in misura corrispondente all’importanza dell’affare e al risultato ottenuto nell’interesse della parte.
La soddisfazione dell’assistito è tale che dopo qualche anno, quando rimarrà vittima di un tentativo di omicidio, si rivolgerà ancora una volta a quell’avvocato che così bene ne aveva patrocinato le ragioni.
Qualche giorno fa si apprende da alcune testate giornalistiche che la persona risarcita avrebbe concesso ai suoi familiari il diritto di operare sul proprio conto e che costoro, approfittandone, si sarebbero appropriati delle somme ivi depositate. In relazione a ciò si sarebbe innescata una vicenda delittuosa culminata in un tentato omicidio. Se è vero oppure no lo stabilirà il processo e non interessa le riflessioni che seguono.
Quel che qui ci preme sottolineare è come nell’ordinanza cautelare il GIP - recependo le richieste del PM e degli inquirenti - scriva a “chiare lettere” che le somme pagate dalla vittima all’avvocato costituivano il legittimo compenso professionale per l’opera prestata.
Questa essendo la fonte, stupisce allora leggere le cronache della stampa locale e nazionale che presentano il professionista - perbene e corretto - come “complice” nel tentativo di appropriazione delle somme di colui che è accusato del tentato omicidio del suo assistito.
L’appropriazione, secondo le testate giornalistiche, sarebbe stata favorita proprio dall'avvocato della vittima individuato come "noto penalista, al quale sarebbe arrivato un compenso di 50 mila euro” (“pare” scrivono gli autori). La macchina del fango coinvolge dunque l'avvocato nella vicenda delittuosa tacciandolo di infedele patrocinio, travisando i fatti, inserendolo in una vicenda, successiva alla sua prestazione professionale, alla quale è totalmente estraneo. Nessuno si dà pena di indicare un benché minimo elemento che possa suffragare quel “pare”.
Di questa sciocchezza - perché di sciocchezza si tratta - si è avveduto il primo dei giornalisti autore del pezzo “incriminato” il quale, nel tentativo di rimediare con una pezza peggiore del buco al suo errore, ha infine riportato la notizia vera (ma solo sulla testata locale per la quale scrive): l’avvocato ha ricevuto il compenso professionale e non è “complice” di colui che è accusato di essere il mandante del tentato omicidio. Questo è quel che è, non quel che “pare”.
Ma altri giornalisti, con maggiore superficialità, avevano nel frattempo provveduto a “copiare” la falsa notizia e l’avevano divulgata. E come tutti i “copiatori” non si erano neppure preoccupati di correggere il tiro e di rettificare quel che nella professione che svolgono costituisce il peggior “crimine”: dare notizie false!
Abbiamo denunciato con forza la violazione dei diritti della persona arrestata sbattuta in prima pagina, ma con pari forza stigmatizziamo le gratuite propalazioni di certa stampa che, senza la diligenza dell'approfondimento giornalistico, rifuggendo dal dovere di verificare le fonti, lede l’onorabilità del difensore che ha adempiuto il proprio mandato professionale con correttezza e diligenza.
E’ l’aspetto gossipparo di certa stampa, superficiale e incline ai luoghi comuni (l’ormai intollerabile campagna denigratoria dell'Avvocatura, delineata come fiancheggiatrice del malaffare).
Non si può e non si deve tacere!
Gli Ordini professionali del giornalismo devono assumere una posizione ferma e decisa che, prescindendo dalla responsabilità giuridica dei singoli, sanzioni chi fa della penna uno strumento di denigrazione.
Raccontiamo questa storia non perché sia nostra intenzione restituire l’onore a chi è stato infangato dalla scarsa professionalità degli autori dei pezzi “incriminati” (è sufficiente la storia personale del professionista a testimoniarne la correttezza); raccontiamo questa storia perché sia chiaro a tutte le persone perbene come la sciatteria, la superficialità, talvolta la mala fede e la cattiveria di chi “governa” le parole e “racconta” le storie possano condurre allo stravolgimento della realtà, senza che gli autori del “crimine”, cioè della falsa notizia, subiscano alcuna conseguenza per il loro operato deontologicamente scorretto.
Ecco il punto: il principio di responsabilità e le conseguenze!
Il primo, impone il coraggio delle proprie azioni ed è incompatibile con la codardia di non ammettere l’errore. Le seconde, impongono la sanzione per il gesto non riparato con doveroso coraggio: l’emarginazione sociale di chi sbaglia sui fondamentali della professione di giornalista ovvero non verifica le fonti e non le riporta secondo verità.
A margine delle storie che vi abbiamo raccontato, invitiamo i lettori a riflettere sulla scarsa attendibilità e sulla supposta - sarebbe più corretto dire supponente - superiorità morale di chi scrive notizie non vere e identifica l’avvocato con l’assistito e quest’ultimo (che ne è presunto innocente) con il crimine. E dunque, per transitività, l’avvocato con il crimine (“il complice”).
Ai creatori di fango offriamo i nostri servizi di Avvocati per quando ne avranno bisogno, certi che la nostra Toga rimarrà linda e non sarà inzozzata dai loro schizzi di fango quando (e se) un giudice li dichiarerà colpevoli!
Trapani, 8 agosto 2020
Il Direttivo della Camera Penale di Trapani