È la stampa bellezza
Nessuno che sia dotato di buon senso e di minima conoscenza delle “cose della vita” può dirsi scandalizzato dalla lettura delle comunicazioni private estrapolate dal telefonino di Luca Palamara. Estrapolate - val la pena ricordarlo - in virtù di un artifizio giuridico “giocato” sul piano di una contestazione fluttuante, infine derubricata ad un titolo che avrebbe impedito di entrarne in possesso (ché le garanzie valgono sempre non, come le targhe, a giorni alterni).
A chi si dicesse scandalizzato, il tempo s’incaricherebbe di qualificarlo ingenuo o in malafede.
A chi rinunciasse alla denuncia sull’utilizzo autoritario del Trojan horse e sulla diffusione alla stampa delle conversazioni private (che neanche la stasi nella DDR), il tempo s’incaricherebbe, prima o poi, di far pagare il prezzo di una posizione da “puro più puro” che alla fine del tunnel qualcuno più puro epurerebbe.
Qual è dunque il punto di questa già nota storia?
Il punto è il volantinaggio selvaggio, l’utilizzo della stampa per falcidiare le legittime ambizioni dei meritevoli e per alimentare le sfrenate ambizioni dei manovratori.
Il punto è, dunque, il perverso rapporto tra certi (troppi) giornalisti e certi (pochi) loro suggeritori.
Un rapporto che è incestuoso, avrei voglia di dire, quando prende di mira l’avversario, ma che diventa feroce quando prende di mira il cittadino accusato di un reato, la cui onorabilità sia offerta alla gogna mediatica, pelosetta e moralizzatrice, che lo condanni prima di arrivare ad un processo giusto davanti al suo giudice naturale precostituito per legge (e talvolta, ancor peggio, neppure a quello, perché non vi sono fatti penalmente e disciplinarmente rilevanti)
Il punto è, ancora una volta, il quarto potere, il cane da guardia della democrazia.
Ché fa specie assistere a showman innamorati di se stessi e incapaci di comprendere il senso delle questioni che affrontano; fa specie ascoltarli opinare, giudicare e dar voce a un magistrato in servizio, a due ex magistrati, a un senatore (avvocato) e a un giornalista di giudiziaria, che con la supponenza del liceale impreparato fanno a gara a chi deve compiacere l’insegnante per primo e concludono, sbagliando clamorosamente in diretta tv, su una norma che evidentemente sconoscono (e che male sarebbe stato ammetterlo?). Del resto, tutti sbagliamo. Ma non tutti andiamo in tv a fare promozione e a disinformare l’opinione pubblica.
E non tutti - e certamente non il cittadino accusato e offerto in pasto all’informazione compiacente - abbiamo la possibilità di alzare il telefono e chiedere veline a questo o quel giornalista. Mentre tutti, da cittadini, abbiamo il diritto ad un’informazione vera e autentica e non subdola, falsa e ingannevole.
Non dimentichiamo, allora, che il tema di questi giorni non è buttare il bambino con l’acqua sporca.
Durante tangentopoli abbiamo sperimentato come la purga moralista produca danni peggiori, suicidi di innocenti massacrati nell’intimità della loro debolezza umana, e campioni della purezza peggiori di coloro che venivano additati alla ferocia del popolo in tumulto.
Come UCPI, recuperiamo il patrimonio di approfondimento del recente passato e allarghiamo il tema del dibattito alla libertà di stampa, all'autonomia dei giornalisti e delle redazioni.
“E' la stampa, bellezza, e tu non ci puoi fare niente". È ancora oggi così?
[Marco Siragusa]