lunedì 11 luglio 2016

Tra gogna mediatica, applicazione delle regole esistenti e prospettive di riforma del codice di procedura penale - di Marco Siragusa

A margine del caso Capua, la pillola di Gian Domenico Caiazza (in calce riportata) pone una considerazione procedurale di grandissimo interesse.

È vero: l'architettura del codice di procedura penale è chiara nel definire i tempi, i modi e i controlli delle iscrizioni nel registro notizie di reato.
È vero: il controllo giurisdizionale è presupposto e dovuto, non foss'altro che dall'art. 124 cpp.
Ma è vero (qui casca l'asino): non esiste(rebbe) una sanzione processuale e la giurisprudenza ne trae argomento per omettere il controllo: quello dello ius dicere!
Ed è ancora vero (e irritante): ricordate le SSUU Battistella? L'iscrizione deve avvenire in tempi certi e perentori, ma se il Gip è "distratto" oppure omette la verifica non è ammesso il controllo successivo: il giudice del dibattimento verrebbe "bruciato" dall'accesso conoscitivo al fascicolo del PM, dunque non sia mai rimettere nelle mani della difesa la possibilità di "bruciare" i collegi giudicanti.
È vero: prolificano decisioni "naïf". Hai ragione; il PM ha violato le regole sull'iscrizione e/o sui termini di iscrizione (talvolta esercita l'azione penale nelle forme del giudizio immediato privando l'imputato dell'udienza preliminare); il Gip non se n'è accorto, ma il giudice del dibattimento non può sanzionare la (evidente) violazione procedurale.
Importa nulla, processualmente, che la condotta del PM sia soggetta a sanzione disciplinare: è nel processo che la sanzione deve operare; non fuori da esso!

Ed è vero: le questioni di legittimità costituzionale non vengono accolte in ragione di questi (aberranti) ragionamenti.
Dopo queste (tante e amare) verità, le considerazioni di politica giudiziaria:
possiamo anche discutere di sospensione dei termini prescrizionali dopo la condanna di primo grado, a condizione, però, che le violazioni sui tempi e sui modi delle iscrizioni vengano sanzionate con il blocco dell'azione penale; possiamo, in altri termini, uscire dalle categorie e pensare alla prescrizione come fatto "processuale"?


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Il Rovescio del diritto a cura di Gian Domenico Caiazza
La pillola del 9 luglio 2016
LE SCUSE ALLA PROF.SSA ILARIA CAPUA? ANCHE NO, GRAZIE
La vergognosa vicenda della scienziata Ilaria Capua, impiccata e lasciata penzolare per più di due anni al cappio di una accusa oltraggiosamente ingiusta, per poi sentirsi finalmente dire da un g.u.p. che il fatto non sussiste, non ha purtroppo nulla di eccezionale. Proprio nulla.
Certo, qui c’è il sovrapprezzo della notorietà del personaggio, con conseguente crocifissione sulla copertina del più importante settimanale italiano, A firma di un intoccabile campione del nostrano giornalismo giudiziario di inchiesta (si chiama così); ma credetemi, non cambia molto nella vita di una persona, se il marchio di infamia di una accusa ingiusta te lo porti in un ambito più ristretto, familiare, amicale, professionale: sempre della tua vita parliamo.
Trovo francamente irritante, ed anzi insopportabile, che giornalisti autorevolissimi, e per di più meritevoli di avere denunciato con forza lo scandalo di questa vicenda, come Stella e Mieli, non colgano la matrice, come dire, di sistema, e dunque la ineluttabilità di questa come delle mille altre analoghe vicende che potremmo raccontare e testimoniare; e si perdano invece dietro il tema retorico, inutile ed anzi beffardo, delle scuse, e di chi le dà e chi no.
Le ragioni all’origine delle dieci, cento, mille, centomila Ilaria Capua nel nostro Paese sono chiarissime.
La verità è che il Pubblico Ministero è un sovrano incontrastato delle proprie indagini. Iscrive nel registro notizie di reato chi vuole, quando vuole, come vuole; sceglie il titolo di reato a proprio totale arbitrio; trattiene il fascicolo delle indagini per tutto il tempo che ritiene opportuno; e – ancor di più se l’indagato resta a piede libero- non dovrà rispondere mai a nessuno (dico: mai a nessuno) di ciò che ha ritenuto di fare in questa fase. Anzi, se ti azzardi a formulare un garbato lamento, ti senti pure dire che la tua iscrizione nel registro degli indagati è un atto di garanzia nei tuoi confronti. Caspita, grazie mille.
Senonchè, regole processuali alla mano, questo totale arbitrio non sarebbe consentito. Certo, sulla decisione di iscrivere una persona nel registro degli indagati, e sul relativo titolo di reato, non è previsto nessun controllo giurisdizionale; e forse bisognerebbe cominciare a pensarci seriamente, visto il Paese nel quale viviamo, e considerato l’impatto devastante che ha ormai assunto un atto che di per sé dovrebbe essere del tutto innocuo, e che invece ha ormai irreversibilmente assunto un peso quasi analogo alla condanna definitiva.
Ma sui tempi delle indagini, la norma è chiara ed imperativa. Trascorsi i primi sei mesi di indagini (un anno per i reati più gravi), il Pubblico Ministero dovrebbe concluderle; se non è in condizioni di farlo, deve chiedere una proroga al Giudice per le Indagini Preliminari; e poi un’altra, e poi ancora un’altra.
La richiesta deve essere motivata; l’indagato ha diritto ad interloquire; il Giudice deve assumere un provvedimento motivato di concessione o di diniego della proroga. Ebbene, questa norma, importantissima proprio perché finalizzata al controllo giurisdizionale di possibili arbitri, o inerzie ingiustificate, del Pubblico Ministero, è stata da subito irrisa dall’intera, compatta magistratura italiana, che l’ha trasfigurata nella sua caricatura. Il PM motiva con due righe stereotipe, il GIP provvede con provvedimenti pre-stampati, sempre e solo nel senso di concedere la proroga; anche e soprattutto, come nel caso della Capua, se il PM non ha svolto alcuna indagine, e nemmeno spiega il perché. Quanto alla interlocuzione difensiva, essa è semplicemente ignorata, al punto che nessun avvocato perde più tempo ad articolarla.
Dunque, il Giudice che dovrebbe controllare il P.M. è, sul tema della proroga delle indagini, ufficialmente e senza eccezioni un collaboratore del P.M., il suo spicciafaccende, chiamato a null’altro che a risolvergli questa fastidiosa, formale incombenza normativa.
Alle corte: è la mancanza di un Giudice terzo ed equidistante tra le parti, soprattutto nella fase delle indagini preliminari, che produce questi mostri. Inutile girarci intorno. Ed è allora francamente ridicolo ridurre la questione alla invocazione delle scuse, come se si trattasse di un eccezionale incidente di percorso.
Piuttosto, il giornalismo italiano si interroghi seriamente anche su cosa sia diventata la cronaca giudiziaria, il cui prestigio si misura ormai sulla capacità di ricevere in anticipo atti di indagine da chi le indagini le sta svolgendo, all’ovvio prezzo di dover poi rappresentare l’ipotesi accusatoria come la Verità, e le ragioni di chi si difende come impronunciabili bestemmie.
E’ vero proprio il contrario, dott. Mieli: le scuse, alla professoressa Capua, le vengano almeno risparmiate. Un minimo di decenza, per favore.